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Vita associativa

60 anni di applausi

Nata da un gruppo di giovani, grazie ad altri giovani si è aperta a nuove strade e, di recente, ha avuto un'iniezione di entusiasmo da una terza generazione di giovani. È la compagnia I 7 Moli Ars et Bonum di Polesella, in provincia di Rovigo. Festeggiamola insieme...

Non sono poche le compagnie che quest'anno celebrano un anniversario significativo, di quelli a cifra tonda: tra i "campioni", i veneziani Teatro Altobello e Teatronovo, entrambi a quota 30; il padovano Teatro delle Tradizioni Veneto P. Xicato con i suoi 40; e ancora la vicentina Compagnia teatrale E. Zuccato con ben 50 anni di attività in ambito Fita. In vetta alla classifica dei festeggiati si posiziona però, con 60 anni tondi tondi, la compagnia I 7 Moli – Ars et Bonum di Polesella, in provincia di Rovigo, alla quale abbiamo voluto dedicare un apposito spazio... con la panna e le candeline.
Da Massimo Mazzetti, regista della formazione e figlio di due dei suoi indimenticati fondatori (Rino Mazzetti e Lucia Andreotti; ma nella compagnia è transitata più o meno tutta la famiglia), ci siamo allora fatti raccontare il passato del gruppo, le scelte di repertorio, gli alti e bassi che fanno parte della vita di qualsiasi compagnia, ma anche e soprattutto il presente e il futuro del gruppo, che all'anniversario dedicherà una serie di iniziative dopo l'estate.

Interno02 1960LegittimaDifesaPrima di tutto, un po' di storia
Polesella, con i suoi 4mila abitanti, è un centro tranquillo, adagiato sulla riva sinistra del Po, a sud di Rovigo. È qui che, nel 1957, nel pieno della ricostruzione postbellica, nasceva la compagnia "Ars et Bonum", una delle prime "miste", composte cioè sia da uomini che da donne, fino a qualche tempo prima rigorosamente separati sul palcoscenico.
La prima fase di attività arriva al 1970, con la messinscena di lavori di autori come De Filippo, De Benedetti, Coccia, Caglieri, Goldoni e Niccodemi.
Dopo una breve parentesi, nel 1975 il gruppo riprende l'attività e cambia nome in “Gruppo teatrale I 7 Moli – Ars et Bonum". Si lavora su dizione e recitazione, e ci si apre ad un repertorio più ampio, che porta successi anche fuori provincia. Nel frattempo, la compagnia è tra quelle che fondano la sezione polesana della Federazione.
Tra spettacoli, premi e soddisfazioni, il gruppo prosegue nella propria vivace attività, che però si interrompe bruscamente nel 2003, per la scomparsa del presidente-fondatore-animatore del gruppo, Rino Mazzetti. Due anni più tardi, però, il figlio Massimo propone il primo Laboratorio teatrale di Polesella: un evento che suscita l'interesse di un bel gruppo di giovani e offre nuova linfa alla compagnia, che torna anche alla produzione, con "Doppio misto", di Patrizio Gottardo (pseudonimo dello stesso regista), “Cercasi erede” di Luciano Lunghi, e ancora “Regalo di nozze” e “La neve de me zio Anselmo”, entrambe di Valerio Di Piramo. Ora la compagnia è al lavoro su un nuovo lavoro (ma per scaramanzia non se ne deve parlare).
Interno03 foto vecchia 01Da ben 28 anni, infine, la compagnia si dedica all'organizzazione della rassegna “Teatroallegro in Polesella”, divenuta concorso dal 2003: in palio, il “Trofeo Rino Mazzetti per il teatro amatoriale”, con votazione del pubblico, e altri premi assegnati da una giuria, tra i quali quello al miglior interprete, dedicato alla memoria di Lucia Andreotti, scomparsa nel 2014.

La vostra compagnia ha un nome originale: da dove nasce?
Il nome "Ars et bonum" ("Arte e Bontà") fu proposto dal cappellano che, nel 1957, permise la nascita di questo gruppo misto, vicino al gruppo parrocchiale dell'Azione Cattolica, che già metteva in piedi spettacolini e scenette. Intorno al 1975, invece, entrammo in compagnia io e altri giovani sui 18-20 anni, e proponemmo di cambiare il nome: l'idea fu di rendere omaggio alle nostre tradizioni rivierasche, ricordando i sette moli frangiflutti del paese, presenti fino all'alluvione del 1951.

E queste furono le prime due fasi della vostra compagnia. E la terza?
È iniziata nel 2005, con me e i miei figli, dopo un periodo di collaborazione con le scuole elementari e medie. La voglia di fare teatro c'era, qualcosa avevamo fatto. L'amico Ranzato di Piove di Sacco mi consigliò di fare un laboratorio: e di lì siamo ripartiti.

I giovani sono stati un elemento essenziale nella vostra storia...
Assolutamente sì, e lo sono ancora. Nel 1957 i miei avevano sui 30-32 anni, quindi erano piuttosto giovani anche loro. Nella seconda fase, quella del 1975, siamo entrati noi, tutti sui vent'anni. Nella terza, infine, alla compagnia si è avvicinata una quindicina di ragazzi tra i 16 e i 20 anni, che poi si sono intergati con alcuni della vecchia guardia; tra questi anche mia madre, un personaggio unico: ha recitato fin quasi alla fine, a 90 anni, e ricordava ancora tutte le battute. Ma tra le colonne storiche ci sono anche Luciano Milani, entrato negli Anni Sessanta e che ancora recita a 78 anni, e il nostro presidente, Gabriele Gianese: ogni tanto dice che vorrebbe ritirarsi, ma gli rispondo sempre che quando ne avrà 80 magari ne parleremo.

Interno05 2012LOrboMa allora qual è il segreto per avvicinare i giovani?
Per avvicinarli, molto utile per me è stata la collaborazione con la scuola. Allo stesso modo tengo d'occhio gruppi che organizzano qualcosa, per esempio in parrocchia, perché magari trovi qualcuno che è appassionato e che è portato. E anche nelle rassegne: se vedi qualcuno che viene sempre, magari è interessato a provare (per uno della nostra compagnia è stato così: veniva alle rassegne fin da bimbo). Mio figlio, che ha 36 anni, credo sia il più grande dei giovani della compagnia, dove si parte da 23-24 anni e si arriva a Milani, che ne ha 78. Che cosa comporta questa situazione? Di sicuro che i vecchi devono imparare dai giovani: con la formazione precedente, di età media più alta, ci mettevamo un anno e mezzo per allestire qualcosa e nessuno si impegnava troppo a studiare la parte; adesso, con i giovani, sull'ultima commedia abbiamo iniziato a lavorare maggio e l'abbiamo presentata a novembre. Hanno di buono la memoria, ma lo svantaggio è che in genere hanno mille interessi, e non solo il teatro.

Ed ecco la seconda domanda, infatti: come fare a tenerseli, questi giovani?
È un problema. Capita che qualcuno inizi a venire ma poi - quando si accorge dell'impegno, del fatto che è il gruppo che conta e che bisogna lavorare tanto e insieme – finisce col cedere. In passato ho avuto qualche dispiacere, a questo proposito. Ma non demordo, cerco, pubblicizzo ed è bello quando vedi che, come adesso, c'è qualcuno davvero interessato... Insomma, con i giovani non è semplice farli iniziare, ma soprattutto è difficile tenerli. Se sono un gruppo di amici è già meglio, ma non è comunque facile.

Interno compagniaVoi organizzate la rassegna Teatroallegro. Come è nata?
Con alcune cose proposte ancora da mio padre per la parrocchia e la festa patronale, nel 1990. Poi è diventata una rassegna strutturata, con compagnie anche da fuori Polesine. Nel 2003, quando è mancato mio padre, lo abbiamo trasformato in concorso, con un trofeo dedicato alla sua memoria, cui si è aggiunto quello alla memoria di mia madre, dato da una giuria tecnica della quale fanno parte anche attori che furono della prima compagnia, come il maestro Paolo Trombetta, sempre molto appassionato e attento.

Certo che voi siete la dimostrazione che il teatro fa davvero bene.
Mi limiterò a dire qual era il motto di mia madre: "Il teatro combatte la depressione e allunga la vita". L'abbiamo scritto anche nel nostro sito...