PRIMO PIANO - ATTORE: CREATORE O MARIONETTA?

L'argomento era emerso durante l'ultimo, vivace congresso regionale della Fita, tenutosi a Venezia e dedicato all'allestimento e alla figura del regista. Si è parlato anche del ruolo degli attori e da lì siamo partiti per scoprire qualcosa di più sull'argomento, parlandone proprio con alcuni registi e attori..

di Filippo Bordignon

Tante le tematiche emerse durante il congresso regionale di Fita Veneto svoltosi lo scorso ottobre a Venezia. Tra i vari argomenti trattati si sono analizzati il significato della figura del regista, il suo ruolo oggi e la necessità o meno di questa presenza. Non si poteva dunque tralasciare il sempre complesso rapporto regista/attori e, da queste digressioni, è emersa una questione quasi “amletica”: "L’attore è un creatore o l’attore è una marionetta?", domanda che abbiamo rivolto ad alcuni interpreti e registi.

La posizione di Giuggi Di Paolo, in arte Silvia Castelli, direttore artistico della compagnia trevigiana Destino Teatro è chiara: «Tra le altre cose mi occupo di tango argentino e la domanda da voi postami mi riporta a una frase della maestra argentina Lidia Ferrari che, riguardo a questo tipo di ballo, ebbe a dichiarare in un suo libro: ‘L’uomo conduce ma la donna non è una marionetta’. Ecco, tale concetto vale anche per il teatro. Se pensiamo che il teatro è una forma d’arte, allora il suo elemento sostanziale è la creatività. I mezzi a disposizione dell’attore sono corpo e parola, due possibilità dalle quali l’attore deve cavar fuori ciò che è necessario, un processo che va scientemente disciplinato. Già allenato alla duttilità, l’attore attingerà al suo universo di azioni ed emozioni; nel momento in cui crea, però, deve essere accompagnato da una guida, il regista, alla quale non deve opporre resistenza. Il regista, dando per scontata la sua professionalità e competenza, dovrà fornire all’interpretazione dell’attore completezza, motivazione e coerenza di pensiero. La parola chiave in questo senso è ‘collaborazione’.»

interno08Per Daniele Marchesini, attualmente impegnato come regista della Compagnia La Moscheta di Verona, bisogna fare una premessa: «Se conosciamo la storia del teatro - evidenzia Marchesini - comprendiamo come la sua grande rivoluzione si è svolta nel Novecento nel passaggio da un approccio imitativo a uno creativo (si pensi al caso di Stanislavskij). L’imperativo fu quello di cercare e trovare una dimensione che abbracciasse una molteplicità di ambiti, per un ‘teatro totale’. L’attore a quel punto non poté che divenire un elemento creatore, poiché tutto in lui è chiamato a ‘vivere’. Il regista in questo senso è il garante dell’organicità dello spettacolo, egli cioè assembla le varie parti di un organismo in cui tutto vive. Si tratta però di un concetto che sfugge ai più. A volte si vedono scuole di Tecnica Teatrale che forniscono ai loro partecipanti cliché pre-impostati; l’attore oggi deve invece andare al di là di certi luoghi comuni e sviluppare fantasia e memoria emotiva, rifuggendo quel che risulta stantio e cavalcando l’imprevedibilità. Ricordiamo, in ultima, una frase di Bertolt Brecht che risponde esaustivamente alla vostra domanda: ‘Tutte le arti sono indirizzate all’unica grande arte, che è quella di vivere’».

Giovanni Florio, co-fondatore, attore e regista della compagnia L’Archibugio di Lonigo (Vicenza) offre un punto di vista diverso: «Teniamo a mente il fatto che siamo innanzitutto amatoriali. Noi come ‘amatori’ portiamo ciò che possiamo portare secondo i nostri mezzi. È una domanda, quella da voi posta, se non fuori luogo, un tantino poco appropriata. Una delle nostre virtù, infatti, deve essere l’umiltà. Da spettatore, invece, la questione dell’attore creatore o marionetta direi che dipende dal contesto, dal regista, dalla produzione. Da tanti fattori, insomma. In ogni caso il vero punto di riferimento resta il pubblico, poiché ‘teatro’ significa comunicare e far arrivare un messaggio ben preciso».

Nicola Marconi, attore nella compagnia La Moscheta di Colognola ai Colli (Verona) non ha dubbi: «L’attore dev’essere assolutamente creatore, non potrebbe essere altrimenti. Quando l’attore non ha compreso quello che sta rappresentando, ecco, è allora che diviene invece una semplice marionetta. Se si riproduce mnemonicamente senza aver compreso il vero significato di ciò che si dice, allora siamo fuori strada. Guardando alla mia esperienza, per scongiurare questo genere di inciampo l’autoanalisi è stata importante. Oltre a ciò è buona cosa studiare tanto teatro, cavando fuori degli insegnamenti sia dalle eccellenze attoriali che dagli errori degli altri colleghi. Per mirare a un’attorialità ‘creativa’ si deve pensare costantemente al proprio personaggio e porsi domande quali: ho capito tutto quello che il mio personaggio deve e vuole trasmettere? Per eliminare meccanicità, movimenti non necessari e altre storture ci si deve guardare dal di fuori».

«Ovviamente il termine ‘marionetta’ è assai dequalificante e perciò è ovvio preferirgli quello di ‘creativo’ per un attore - spiega Piero Dal Prà, autore e regista per la Compagnia Prototeatro con sede a Montagnana (Padova) - ma questa creatività fiorisce compiutamente in un individuo solo a determinate condizioni. La passione è la prima e forse la più importante. L’attore può intervenire proponendo modifiche in ambito drammaturgico o registico solo a patto di riuscire ad arricchire il lavoro con la forza della propria maschera. Affinché ciò sia possibile, egli deve aver sviluppato cultura e comprensione di teatro e arti affini, deve possedere nel proprio Dna interessi specifici che incorrano a un continuo auto-perfezionamento dei propri talenti. Altrimenti sì è una semplice marionetta e cioè quel genere di persone che entrano in una compagnia per i motivi meno fruttiferi, come ad esempio per stare insieme al bar dopo le prove».

Roberto Zamengo, cofondatore della veneziana Teatroimmagine, mette in guardia rispetto a un pericolo sempre in agguato: “Per sviluppare il proprio talento e la propria creatività, un giovane attore deve affidarsi a chi vanta un profondo bagaglio esperienziale. Ma attenzione: oggi sono in molti a ingegnarsi registi o maestri pur avendo ben poco da dire e da dare. La nostra compagnia, prediligendo la Commedia dell’Arte, è chiamata necessariamente a esercitare l’improvvisazione in forti dosi: in questo senso, all’interno di Teatroimmagine nessuno può permettersi di essere una semplice ‘marionetta’. Ciò che si deve rifuggire è l’atteggiamento passivo di chi si limita a svolgere il compitino affidatogli, interpretando il testo senza metterci nulla del proprio».

La nostra breve inchiesta si chiude con Riccardo Scarabel, attore per la Compagnia Vittoriese del Teatro Veneto di Vittorio Veneto (Treviso), il quale mischia le carte finora esposte commentando: «L’attore non è né marionetta né ‘creativo’, almeno non nell’ambito amatoriale da me sperimentato. L’atteggiamento di marionetta sottintende un atteggiamento interpretativo incapace di investigare le tante possibili sfaccettature del proprio personaggio, arrestandosi a un’esecuzione didascalica; ma anche in tal caso l’attore concederà al regista solo ciò che potrà o vorrà fare, sicché viene meno anche l’ipotesi di un condizionamento totale da parte del regista sui propri attori. Per essere pienamente creativi, invece, si dovrebbe essere in grado di cogliersi dal di fuori e questo è pressoché impossibile se non a un soggetto esterno. Di qui va ribadita l’importanza della cooperazione tra attore e regista».

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