Cultura

Gli sms di Gutenberg

di Silvia Bagnara Milan

Durante le trascrizioni dei testi di teatro veneto proposti da Fitainforma, ci è capitato talvolta di incontrare segni grafici e abbreviazioni particolari, ai quali abbiamo pensato di dedicare qualche riga di approfondimento.

Potrebbe capitare anche a voi, o forse vi sarà già capitato, di scartabellare fra libri più "canuti" degli altri in biblioteche e archivi, oppure online, o ancora (se siete fortunati) nelle vostre raccolte personali. Alle volte, si incontrano parole che sembrano sbagliate, senza senso, adornate però da qualche trattino, da cediglie, da quelle che potrebbero sembrare sbavature d'inchiostro ma sono, in realtà, simboli di un linguaggio molto simile alle abbreviazioni che usano i giovani d'oggi quando scrivono e-mail e messaggi. E la cosa buffa è che il motivo per cui venivano utilizzati questi segni grafici con funzione di abbreviazione, dai primi scritti ad oggi, è rimasto lo stesso: risparmiare.
Così come negli sms (in voga qualche anno fa, ma ormai obsoleti per i più giovani, costantemente connessi ad internet) le abbreviazioni servivano a contenere lo spazio utilizzato così da inviare una sola pagina anzichè due (con il conseguente raddoppio dei costi), le abbreviazioni nei manoscritti prima e, successivamente, nella stampa tipografica servivano per consumare meno superficie e, dunque, risparmiare pecunia sonante. E la commedia “La Venetiana” pubblicata in questo numero di Fitainforma non fa eccezione.
Ma prima di addentrarci nel dettaglio di questo argomento, seguiteci in un paio di brevi digressioni.

La carta, questa sconosciuta
In principio era la pietra, su cui gli uomini dell'antichità dipingevano o incidevano. Poi toccò alle tavolette di cera e/o argilla con stilo annesso, come testimoniato dagli affreschi ancora oggi visibili a Pompei. In seguito, in Europa si diffuse la pergamena, realizzata con pelli di animali trattate per accogliere la scrittura, ed infine, nel XII secolo, in Italia giunse la carta, introdotta dai mercanti che avevano rapporti con i popoli Arabi; ma sappiamo che in Cina essa era già utilizzata nel II secolo a.C.
Oggi la carta è prodotta usando la cellulosa e la lignina derivanti dagli alberi, ma all'alba del 1300 veniva prodotta partendo, curiosamente, dagli stracci. Vi erano commercianti specializzati, addetti alla loro raccolta e alla cernita: i "cenciaioli". Nelle cartiere, questi stracci venivano macerati e lasciati fermentare in locali specializzati, così che rilasciassero - appunto - la cellulosa. A questo punto la lavorazione si spostava nei mulini ad acqua, dove magli, pestelli con punteruoli e lame creavano la "pasta da carta", che veniva triturata in acqua saponata. Si creava perciò una poltiglia informe, che bisognava plasmare: ecco che nei tini pieni di pasta veniva allora inserita la forma, un telaio di legno con maglie di ottone che lasciavano fluire l'acqua e trattenevano la pasta. Dopo un processo di asciugatura su feltro e all'aria aperta, di collatura (per evitare che assorbissero inchiostro) e di satinatura e lisciatura con la selce, quello che era un cumulo di stracci si trasformava così in un foglio di carta morbido, tagliato a misura e pronto per essere utilizzato.
Col passare del tempo, i cenci divennero via via più difficili da reperire, per la sempre maggiore diffusione della lettura. Fu così che in Francia, nel '700, se ne proibì l'esportazione, e nel 1730 si eseguirono i primi esperimenti di estrazione della carta dal legno. Fu però agli albori dell'800 che il processo di produzione della carta divenne una vera e propria industria moderna.

Interno torchiostampa

E la stampa?
Dopo la rapida espansione delle cartiere e l'invenzione della stampa a caratteri mobili, di cui saremo sempre grati a Johannes Gutenberg (1390/1403 - 1468), il passaggio dal manoscritto al libro a stampa fu comunque molto lento. A lungo le due forme convissero, destinate a pubblici diversi: i manoscritti erano destinati alla trasmissione del sapere di un'élite prettamente monastica o universitaria, mentre i libri a stampa erano pensati più per il grande pubblico, sebbene Gutenberg abbia dato il via alla sua rivoluzione tipografica stampando proprio la famosa Bibbia delle 42 linee.
Non pochi furono coloro che compresero quanto i caratteri mobili potessero velocizzare – e ottimizzare da un punto di vista economico - il processo di stampa, rendendo possibile la "produzione in serie" in tempi relativamente brevi. Ma vediamo di comprendere i passaggi fondamentali di questo processo.
I vari “caratteri” (mobili, quindi separabili e componibili, un po' come i blocchetti delle costruzioni per bambini) venivano inseriti nelle "forme" tipografiche, come tante lettere-anelli di un grande abaco dalla cornice in legno. Terminata la fase di composizione, la forma veniva appoggiata sul torchio e inchiostrata, e un foglio di carta veniva pressato su di essa: ne risultava così una pagina stampata, bis-bis-bisnonna dei fogli che escono oggi dalle nostre stampanti di casa.
Ma il processo di conteggio dei caratteri, affinchè fossero perfettamente incorniciati all'interno della pagina, la stessa mise en page e il numero di fogli da utilizzare per qualsiasi edizione erano conti e vincoli da tenere presenti, prima di procedere in serie. Arriviamo così ai nostri speciali segni grafici, antenati della stenografia, preziosi per limitare il costo della carta, il numero di forme da comporre e il tempo impiegato dalla stampa della prima pagina fino alla rilegatura e, quindi, alla vendita.

Quanto detto finora è un’estrema sintesi della storia articolata, splendida e interessante di un supporto che nacque secoli fa e che tutt'ora ci accompagna, che sia sotto forma cartacea o di e-book. Consigliamo agli interessati due testi piacevoli, ricchi di spunti e informazioni, qualora volessero addentrarsi più a fondo in questo meraviglioso viaggio: "La nascita del libro" di Lucien Febvre e Henri-Jean Martin e "Dal manoscritto all'ipertesto" di Jean-François Gilmont.
Detto ciò, proseguiamo.

Ma… queste abbreviazioni?
Come abbiamo detto, a chiunque osservi un testo di qualche secolo fa può capitare di notare alcuni segni grafici su insiemi di lettere che somigliano a parole, ma in realtà sembrano non significare nulla, o essere addirittura sbagliate.
Eccone qualche esempio, tratto dall'edizione del 1619 de "La Venetiana" che abbiamo utilizzato per la nostra trascrizione.

Abbrev01

In questo primo frammento, si notino il trattino orizzontale sopra una vocale e il doppio trattino sulla gamba della lettera "p" iniziale. Per tradizione latina, il trattino orizzontale sopra una vocale stava a significare "seguita da m / n": vediamo quindi come "sō" debba essere letto "son", mentre come "ᵱ" vada inteso come "per".

Abbrev02

In questo secondo frammento, troviamo invece, a metà della quarta riga, la lettera "q" con una specie di accento (tilde grafica). Anche questo segno è una reminiscenza latina, che trasforma una semplice "q" in un "que", trasformando perciò la parola in "questi".

Si tratta di piccoli dettagli curiosi, che rendono ancora più interessante la ricerca e la riscoperta di alcuni testi, un po' come trovare una perla dentro un'ostrica. Tutto ciò potrà forse apparirci "datato", ma in fondo il "principio del minimo sforzo" è ancora oggi adottato nella scrittura, come abbiamo già sottolineato. Un altro esempio? Pensate che l'attuale e utilizzatissima "&" (detta anche "e commerciale") non è altro che una legatura latina, nata dalla fusione nei manoscritti delle lettere che componevano la congiunzione "et", che significava "e". Qui sotto, un'immagine per dimostrarne l'evoluzione dal 131d.C. Notate somiglianze?

Evoluzione

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