Interviste

Un momento dello spettacolo ''Alberi'' foto di Raffaella Vismara

Vasco Mirandola
Poetica comicità

di Filippo Bordignon

Dall’inizio della propria carriera nella seconda meta degli Anni ’70 a oggi, il percorso artistico di Vasco Mirandola è un esempio invidiabile di talento ed eclettismo coniugati a teatro come al cinema (tra le sue partecipazioni ricordiamo “Mediterraneo” e “Come Dio comanda” di Gabriele Salvatores), passando attraverso la letteratura e il mondo della musica.
La vis comica dell’attore padovano miscela sapientemente surrealismo, poesia epigrammatica, satira sociale condita da un gustosissimo spirito dada. Chi ha letto i suoi libri (si azzardi almeno il gustosissimo “Carpe diem trote gnam” e il più recente “E se fosse lieve”) sa bene come la penna del nostro sappia decostruire efficacemente la logica comune e, magari due pagine più in là, produrre una manciata di versi caricati da un romanticismo a suo modo anarchico. Con Mirandola a teatro la risata è cosa certa, ma non mancano momenti delicati, attimi in cui una sensibilità originalissima si fa strada carezzando le pieghe più delicate del nostro “essere umani”. Lo abbiamo intervistato per tentare di comprende almeno in parte i sottili meccanismi della sua atipica scrittura lo abbiamo intervisto.

I suoi testi per il teatro nascono dall’illuminazione di un momento o si sedimentano poco per volta?
Ogni testo ha bisogno di una lunga gestazione. Quando viene un’idea si inizia a guardare il mondo in un altro modo. È vicino a quando si è in attesa di un figlio: tutto inizia a girare intorno a questo evento e si pensa a come sarà la sua stanza, si inizia a notare i negozi di giochi, quelli di vestiti per bambini, si vedono più volentieri persone che sono in attesa, si vede una parte del mondo che non si era presa in considerazione se non superficialmente. È un momento speciale. Come entrare in un mondo parallelo che si chiama “bambinità”. È così per tante cose, anche solo se mi alzo di cattivo umore e il mondo mi sembra fatto a ostacoli.

Una volta che l’idea le è giunta che fa?
Se pianto, come un seme, un tema che voglio affrontare o una sensazione, la bagno di curiosità e piano piano inizia a crescere, si arreda di foglie, delle parole che qualcuno ha perso in un tovagliolo, da un libro, da un film che arriva al momento giusto. E il testo poco per volta si rivela a noi. Poi bisogna costruirgli un mondo intorno, reale quanto la realtà, anche più della realtà.

Quali sono le qualità imprescindibili per un buon lettore quando si esibisce davanti a un pubblico?
Che sia “toccato” da quello che legge. Funziona anche nella vita: se io mi emoziono anche quelli che mi guardano si emozionano. Dico “toccato” perché dovrebbe essere il racconto, o la poesia, quello spazio tra le parole, un punto che arriva all’improvviso come questo. Ecco, diventare sensibili alle parole, segni dell’anima, è il nostro accesso alla lettura del mondo.
 
Comicità nel 2018. Temi “scottanti” come religione, sessualità e così via oggi sembrano destinati a un’imbrigliatura politically correct che 30 anni fa sarebbe parsa eccessiva. Cosa ne pensa?
Viviamo un momento storico in cui l’orologio ha iniziato a correre all’indietro. Poco per volta si perde la definizione del presente, si mettono in discussione conquiste di valori e di civiltà ottenuti con lotte e fatiche. La politica sta facendo un lavoro sporco, senza guanti, mette le mani nel disagio, nella rabbia, nella paura… la comicità si perde, si frantuma perché non riesce a toglierci dal disagio.

Come artista, cosa la offende?
Ho intrapreso la strada dell’attore per imparare a rispettare ogni vita, compresa la mia. Mi offende, mi fa male tutto quello che va contro l’uomo, che lo umilia. “Prima di tutto l’uomo” è titolo di una bellissima poesia del poeta turco Nazim Hikmet.

Quali sono i motivi per cui un testo comico che sulla carta pare convincente dal vivo non decolla?
Stranamente ho potuto notare che vale anche il contrario, e mi son fatto l’idea che è la persona che rende comico un testo, a volte anche se il testo non è comico. Non voglio semplificare, non ci sono regole precise, semplicemente l’ho notato. C’è da dire che il comico è sempre una palestra. Può anche succedere che una cosa che fa ridere una sera la sera dopo non funzioni più, dipende molto dalla situazione, dal pubblico, se c’è qualcuno che si diverte e trascina tutti. Veramente difficile capire. Abbiamo la fortuna in questo campo di avere subito un feedback dal pubblico e questo ti dà la direzione.
 
La divertono le stesse cose che normalmente divertono il pubblico?
Ho notato che se una cosa mi fa ridere e ne capisco il meccanismo per riprodurla, quasi sicuramente fa ridere anche le altre persone. Torniamo al discorso sulla lettura ad alta voce: se io mi diverto tutti vengono contagiati; il mio gioco, che riguarda il mio mestiere, è far apparire verosimile ogni cosa che faccio, anche se assurda, surreale.
 
La sua definizione del genere comico cosiddetto “demenziale”?
Accosterei il demenziale a “demente”, una comicità che passa un limite, entra nel disumano, ti spiazza, ti prende alle spalle, a volte ridi per l’imbarazzo. È un altro modo di ridere, più sorprendente.

Un suo ricordo, a quattro anni dalla scomparsa prematura, dello scrittore e cantante demenziale Roberto “Freak” Antoni...
Freak è stato un maestro in questo, abbiamo fatto tante serate insieme. Era un artista che sapeva tradurre in battute il suo profondo disagio dello stare al mondo. Molti artisti creano un genere che si avvicina molto a una loro richiesta interna. Qualcuno dice che il teatro e l’arte in generale sono terapeutici.
 
Per venire a uno dei suoi spettacoli più recenti, cosa si è prefissato di realizzare con il “Radiopinocchio”?
Il gioco, condotto insieme a Martina Pittarello e coadiuvato anche dalla partecipazione di Gabriele Grotto, non era tanto sul testo ma nel come lo abbiamo presentato. Per chi non l’ha visto è una versione radiofonica della celebre fiaba dove giochiamo sul fare i personaggi, i rumori della storia stessa, come i vecchi rumoristi del cinema o della radio. Essendo però a vista tutti si riempie di invenzioni sceniche e dinamiche tra noi attori. È un omaggio all’artigianalità del teatro, all’invenzione, alla fantasia della creazione.
 
Cosa ricorda del periodo in cui fondò Teatrocontinuo nel 1976?
Avevo 20 anni quando ho iniziato a lavorare con il Teatrocontinuo, non sapevo nulla, non mi aspettavo nulla, non sapevo se era la mia strada. In quel tempo non mi trovavo bene con me stesso e quindi con il mondo. Il teatro mi ha “curato”, si è preso cura di me, ho una profonda riconoscenza per questa meravigliosa professione. Il Teatrocontinuo è stato l’inizio del viaggio della mia vita.

Il futuro la riguarda, è uomo da presente o vive nel passato?
Presente, il più presente possibile.

Per essere una persona “di spirito” occorre coltivare anche la propria spiritualità?
Dipende da cosa vuoi dare agli altri, al pubblico, se vuoi proporgli quello che hai capito della vita o quello che non ti permette di stare bene nella vita. Io sarei ovviamente per “la prima che ho detto”. Allora sì che vale la pena di coltivare lo spirito, perché in qualche modo ci viene chiesto di essere uomini migliori.

Cosa la soddisfa maggiormente del suo recente “Alberi” in coppia con la cantautrice Erica Boschiero, sotto un profilo concettuale?
In genere non ho una soddisfazione solo concettuale. Capisco se ho dato o no qualcosa al pubblico, non da cosa provo io, ma da cosa deposito nei loro sguardi, da come si alzano dalla sedia.
“Alberi” è un percorso interiore che avevamo voglia di fare. Gli alberi ci aiutano a capire cosa significa avere delle radici e ad alzare lo sguardo al cielo. Non si muovono, sembra che non facciano niente, eppure ci seguono in ogni istante della vita, ci aiutano, ci proteggono, ci osservano. In questo momento di stordimento forse non abbiamo bisogno di tutti quei falsi maestri che stanno spuntando come funghi. Forse hanno di più da insegnarci i funghi. Lo diciamo con lo spazio aperto delle poesie, l’eco che lasciano le canzoni e la musica: non lo diciamo completamente, lasciamo che ognuno arredi la sua stanza.

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