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Focus

Teatro brillante:
perché lo facciamo?

Oggi più che mai il pubblico sembra affamato di risate, divertimento, leggerezza e allegria.

Niente di male e, anzi, un intrattenimento sano e di qualità può fortificare lo spirito e, in molti casi, fornire al fruitore una chiave di lettura originale rispetto a temi della vita normalmente considerati ostici.
Preferire aprioristicamente il teatro brillante rispetto a opzioni più “serie” può però diventare una scusa per non cimentarsi con il rigore che dramma e tragedia richiedono per convincere il pubblico. Ma è più facile suscitare una risata o commuovere? Le compagnie amatoriali con un repertorio formato prevalentemente da lavori brillanti imboccano volutamente una scorciatoia per arrivare prima e meglio allo spettatore o, di per contro, divertire è un’arte di ardua assimilazione? Ne abbiamo discusso con dodici compagnie venete che, negli anni, sono riuscite a divertire migliaia di spettatori attraverso testi classici e lavori originali.

trentamici“Piuttosto che basarsi sulla distinzione tra commedia e dramma porrei la questione sotto un altro punto di vista - evidenzia Gianni Rossi, direttore artistico e regista per i TrentAmicidellArte di Villatora di Saonara (Padova)- la cosa importante è se il teatro lo si fa bene o male. Farlo bene significa dedicarsi prima di ogni altra cosa al rispetto verso al pubblico, una cosa sempre meno sentita. Organizzando spesso delle rassegne teatrali ho modo di assistere agli spettacoli di tante compagnie diverse al fine di selezionare quelle più adatte e, beh, sovente riscontro la messa in scena di testi brillanti scelti esclusivamente per ottenere un ritorno economico. Questo è un esempio evidente di mancanza di rispetto. Rinuncio volentieri a una battuta se alla sua base c’è la volontà di spremere fuori dal pubblico una risata a tutti i costi. Il rischio infatti è di cadere nella battuta facile, nella pseudo volgarità o nella soluzione comica trita e ritrita. I collaboratori di cui mi avvalgo devono tenere a mente lo scopo principale: trasmettere emozioni al pubblico. Si deve lavorare a 360 gradi affinché lo sforzo di ogni singolo elemento converga verso questo risultato. Se la questione vuol essere portata poi su una scelta netta tra comicità e dramma sostengo che sia più difficile far ridere che commuovere; ogni attore comico degno di questo nome sa anche essere drammatico, ma difficilmente è vero il contrario”.

brutti ma buoniDi simile opinione è la rappresentante di un’altra compagnia padovana, Nicoletta Bauce, attrice e regista per i Brutti Ma Buoni di Arre che in questi giorni è impegnata nell’allestimento della sua quinta commedia originale: “Non posso negare che la commedia brillante sia più semplice e meno impegnativa da assimilare per il pubblico. Forse è un fatto legato anche alla zona in cui operiamo, ma nei teatri della nostra zona la comicità assicura un flusso di spettatori maggiore rispetto a lavori più impegnati o ‘seri’. È vero altresì che far ridere con gusto non è facile e che un buon lavoro è tale al di là del genere su cui si appoggia. Nella mia visione della commedia brillante, come autrice, elementi imprescindibili sono il ritmo e la capacità di sollevare delle domande e, perché no, concedere anche qualche risposta. Perché la comicità funzioni a dovere deve partire dall’osservazione di una quotidianità che può pure contenere elementi drammatici ma letti secondo un’ottica divertente. Bisogna, infine, scegliere temi in cui la maggior parte delle persone possano riconoscersi: alle volte si va alla ricerca di particolarità che al pubblico restano estranee e che perciò non riesce a metabolizzare. La gente invece è alla ricerca di qualcosa nella quale possa ritrovarsi”.

conviviumGià a seguito di queste prime battute l’ago della bilancia pare orientato verso la commedia, scelta favorita dal pubblico dell’amatoriale. Una ragione di questa inclinazione è fornita da Franco Ramazzina, attore e vicepresidente della compagnia rodigina Convivium: “Il nostro bacino di utenza, costantemente bombardato dai drammi della quotidianità trasmessi in tivù, ci chiede un intrattenimento spensierato se pur non privo di spessore. Ho notato che la commedia ‘pesantina’ viene vista una volta, però poi il pubblico che si è annoiato non torna. Ecco noi, pur evitando le commediole ‘di campagna’ spesso condite da battute scontate, prediligiamo comunque il registro brillante. Le soddisfazioni finora riscontrate ci indicano che siamo sulla strada giusta: la gente ha bisogno di uscire, ‘evadere’ dalla propria realtà ed essere libera con la mente attraverso opere che aspirino alla bellezza. Per fare questo una sana risata è la ricetta ideale”.

i lusianiDove attingere per accaparrarsi l’ispirazione e confezionare la perfetta situazione comica? Maria Delfina Sgobbi, autrice, regista e scenografa per I Lusiani di Lusia (Rovigo) ha un piccolo segreto: “Pur avendo rappresentato con successo autori intramontabili quali, fra tutti, Goldoni, ho fatto mia un’indicazione di Luigi Lunari sentita durante un convegno Fita di qualche anno fa, in cui ci esortò a scrivere testi originali, concepiti pensando bene al pubblico a cui ci rivolgiamo. Seguii il suo consiglio e così nacquero commedie come “Belo o bruto col ga i schei el ga tuto” e la più recente “El paron so mi… ostrega!”. La prima l’abbiamo replicata per ben quattro anni di fila, spesso realizzando il tutto esaurito nella più totale soddisfazione nostra e degli spettatori. Lo stesso vale anche per la seconda, nella quale notiamo come le persone tornino più volte a teatro per rivederla e alcuni conoscano addirittura certe frasi a memoria. Parte delle espressioni usate le attingo dal ricordo delle battute e dei modi di dire del mio bisnonno, una fonte d’ispirazione rivelatasi davvero feconda”.

teatroroncade“È indubbio, soprattutto nel panorama veneto ma non solo, che scegliendo il brillante si strizza l’occhiolino alla possibilità di far circuitare la propria compagnia con maggiore facilità - evidenzia Alberto Moscatelli in veste di direttore artistico della trevigiana TeatroRoncade - ma questa è una condizione determinata più dagli organizzatori che dal pubblico. Ma mi permetta una considerazione personale: in qualità di amatoriali quando si fa una scelta come compagnia andiamo alla ricerca di risorse per la sopravvivenza ma anche per fare delle altre cose. In noi non alberga solo la voglia di esibirsi ma anche di crescere in teatro e nel teatro. TeatroRoncade infatti non si è mai legata a un genere: ogni tanto creiamo prodotti comico-brillanti appositamente per fare ‘risorse’ che poi ci permettono di produrre cose più particolari come, ad esempio, “I dadi e l’archibugio” di Alfredo Balducci che portammo in scena nel 2003, un lavoro di genere satirico-grottesco che però gli organizzatori non mostrarono di desiderare particolarmente. Dispiace che spesso molte compagnie dimentichino nel cassetto la voglia di sperimentare per scelte più convenienti. Non sto sostenendo con questo che il registro drammatico sia più meritevole; anzi, sono convinto che sia più difficile far ridere che piangere, poiché la prima opzione richiede tempi e capacità maggiori della seconda”.

tracce sul palco“È innegabile che la comicità sia più richiesta di drammi e tragedie - conferma Paolo Ronchin, direttore artistico della trevigiana Tracce Sul Palco di Mogliano Veneto -. La gente, soprattutto nelle rassegne popolari, chiede di ‘vivere’ e di non pensare ai propri problemi. La commedia brillante risulta non solo l’opzione più vendibile ma anche quella più divertente da allestire e che dunque riesce a coinvolgere più facilmente gli attori disponibili. E poi un dramma, per arrivare efficacemente al pubblico, deve essere allestito con una cura ben maggiore di quella della commedia, la quale può magari sostenersi solo sulla sintonia tra gli attori e la loro estrosità. L’introspezione è difficile. Una delle prime frasi che pone normalmente un organizzatore è: “Ma fa ridere?”. Sfortunatamente la mia impressione è che si tratti di una tendenza che non riguarda solo il Veneto ma tutta l’Italia e probabilmente non solo il nostro Paese; una delle cause principali va imputata al mezzo televisivo che negli ultimi decenni ha finito per standardizzarsi su spettacoli leggerini, brevi, basati più che altro su tormentoni quando non addirittura su trivialità. Così la gente, rincasata dopo una stressante giornata di lavoro, ha finito per abituarsi a questa fuffa dimenticando che il cervello, per nutrirsi, ha bisogno di emozioni ben più profonde”.

caorlottoCon ventisei anni di onorata “carriera” alle spalle, la compagnia G.T. Caorlotto di Caorle (Venezia) ha fidelizzato un pubblico eterogeneo e amante del buon umore: “Facciamo teatro per diletto e ci piace divertirci e far divertire - afferma Narciso Gusso, regista e autore -. La mia predilezione per questo genere deriva dal fatto che, ammettiamolo, è bello, recitando, coinvolgere il pubblico nelle situazioni più strampalate e vederlo entusiasmarsi e sorridere. Si tratta di un’arte difficile ma che ci riesce molto bene. Non opto per lavori più impegnati che magari mi vedono comunque in prima fila, ma nelle vesti di spettatore. Oltre a ciò - l’esempio più recente è la riscrittura dal lavoro di Enzo Duse ‘Questa nostra metà’ che ho ribattezzato ‘Matrimonio uguae rebalton coniugae’ -. Amo trattare testi con tematiche seriose (in questo caso la separazione) caratterizzando però i personaggi in maniera divertente. Diciamo che siamo portati a un teatro di allegria”.

la filodrammatica“Non ricordo chi abbia detto, forse Gino Bramieri, che ‘far ridere la gente è una cosa seria’ - spiega Pier Luigi Sandano, presidente e scenografo per La Filodrammatica di Cavarzere (Venezia) -. Si richiedono perciò capacità eccezionali tanto quanto con il teatro più impegnato. Alla fine anche il procedimento di costruzione dei personaggi è identico che nel drammatico. Detto questo c’è la richiesta del pubblico che si inserisce prepotentemente nelle scelte delle compagnie, prediligendo il comico/brillante. La ragione sta in parte nella preparazione del pubblico stesso. Giriamo sovente in luoghi nel quali non c’è grande preparazione teatrale: il nome di uno Shakespeare, ad esempio, è ben noto, ma comunica l’immagine di un teatro serioso e la gente ormai non vuole spendere due ore a riflettere sui ‘massimi sistemi’ dell’esistenza. Ciò non toglie che anche da lavori apparentemente leggeri, come il nostro ‘Le baruffe in famegia’ di Giacinto Gallina, si possano trarre preziosi insegnamenti. Il problema piuttosto è che ormai, commedia o dramma che sia, a teatro troviamo un pubblico che vai dai cinquanta in su: un vero peccato per i più giovani che si perdono qualcosa d’importante”.

attorchio“Un tempo chi parlava dialetto finiva per vergognarsene poiché questa lingua designava la propria appartenenza alla campagna - constata Igino dalle Vedove, capocomico e attore del Teatro dell’Attorchio di Cavaion (Verona) - e oggi che, per assurdo, c’è una forte richiesta di attori che padroneggino fluentemente il dialetto, beh, è difficile trovarne. Io ho sempre avuto una predisposizione al dialetto veneto, veronese nello specifico, un amore poi riversato nel teatro grazie alla nostra compagnia. Ai nostri esordi abbiamo tentato con dei Cclassici, con lavori di Achille Campanile. Dopo aver sperimentato la commedia brillante in dialetto, però, abbiamo compreso che quello era il vestito ‘cucito su misura’ delle nostre capacità e aspirazioni. Il pubblico si rispecchia nelle storie e nel linguaggio che portiamo in scena. Non che disdegnerei dei lavori ‘impegnati’, ma forse non siamo ancora pronti per questo e, inoltre, la richiesta è assai limitata a meno che non si sia un nome fortemente affermato, di quelli a cui sono assicurate almeno una decina di repliche”.

la nogara“La recitazione impostata oggi è solo il ricordo di un tempo che non avrebbe senso riportare in vita - afferma Paolo Cracco, presidente e regista de La Nogara di Cogollo di Tregnago (Verona) -. Oggi gli spettatori si aspettano una recitazione spontanea che riproduca in tutto e per tutto la vita quotidiana. Per quello che concerne la mia esperienza nelle piazze e nei teatri di provincia, devo dire che lo spettatore normalmente chiede di farsi quattro risate e mettere da parte i propri problemi. Gli amanti di formule più impegnate si rivolgono a strutture di città. Qui in vallata siamo riusciti, non senza una certa difficoltà, a riportare le persone a teatro: riusciamo a fare 300-500 persone in una serata, numeri che con scelte di repertorio più serie certamente non totalizzeremo”.

piccolo teatro“Oggi ho 73 anni e ne ho speso almeno 13 sperimentando appassionatamente il teatro più impegnato - incalza Domenico Cinque, regista e autore per il Piccolo Teatro di Bassano -. Da Pirandello a Shakespeare e arrivando a Ionesco, ho avuto modo di testare la profondità, l’ironia cinica e l’originalità di questi nomi intramontabili ma, allo stesso tempo, ho notato anche come spesso il pubblico uscisse di sala con l’amaro in bocca. Perché le persone si dividono sostanzialmente in due categorie: quelle che amano opere introspettive e quelle, la maggior parte, che dopo le brutte notizie del telegiornale hanno voglia di ristorarsi per un’ora e scelgono il teatro più leggero. Da questa constatazione ho elaborato la decisione di votarmi esclusivamente al teatro brillante in dialetto. La conferma della giustezza di questa scelta sta nel nostro più recente spettacolo, “Nobile se nasce, siora se deventa”, un testo di mio pugno giunto alla 28sima replica che ci divertiamo a mettere in scena e che diverte il pubblico. Sa quali sono le tre domande che ci rivolge la quasi totalità degli organizzatori nella nostra zona? ‘È brillante? Fa ridere? È in dialetto?’”.

teatroinsieme“Sì, la predilezione degli organizzatori è per il brillante - conferma la regista di Teatroinsieme di Zugliano (Vicenza), Gabriella Loss - probabilmente perché si pensa che la gente sia sovraccarica di problemi e il teatro viene visto come un momento di relax e di risate a piena pancia. Le compagnie possono seguire questo trend per due ragioni: adagiandovisi per un mero tornaconto o semplicemente perché, come nel nostro caso, ci piace di più affrontare uno spettacolo che ti impegni divertendoti nella sua esecuzione. Ma non è certo una scelta facile se si vuol confezionare un buon prodotto: mantenere avvinte le persone per oltre un’ora senza basarsi esclusivamente su qualche battuta a effetto è anzi molto complesso. Quando però mi capita di andare a teatro come spettatrice per assistere a qualche lavoro impegnato ho notato un fatto preoccupante: spesso, nella pausa tra due atti, alcune persone ne approfittano per andarsene; forse la televisione ci ha abituati a un ritmo ‘a spot’, stringato, trash e alla fine questo modus operandi ha modificato in tanti la capacità di attenzione e la voglia di approfondire. Ciò non toglie che moltissime commedie brillanti fanno riflettere, eccome!”.

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