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Intervista a Francesco Boschiero

Francesco Boschiero è il regista di Arte Povera, compagnia formatasi nel 2005 a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, e protagonista di un interessante percorso artistico. Con “Le Troiane” di Euripide, la formazione ha conquistato numerosi e importanti riconoscimenti sia individuali che come ensemble, tra l’altro arrivando in finale al Festival nazionale Maschera d’Oro nel 2016, dove ha ottenuto i premi per la migliore attrice (Alessandra Tesser, nel ruolo di Ecuba) e per la migliore attrice caratterista (andato all’intero coro delle prigioniere, formato da Maria Cristina De Gennaro, Giorgia Crosato, Sara Cazziolati e Maria Rosa Marescalco).
A Boschiero abbiamo chiesto una riflessione sul ruolo dei costumi in un allestimento e una testimonianza del rapporto esistente tra regista e costumista.
 
Quanto contano i costumi nei suoi allestimenti?
Sono elementi assolutamente fondamentali, quanto la scenografia, il disegno luci o la stessa parte attoriale. Devono comunicare un messaggio, la visione registica, e perciò ne sono parte integrante. Per questo, personalmente, quando inizio a pensare ad un allestimento mi domando prima di tutto “perché” lo voglio fare, quale sia la “urgenza” che sta dietro la mia scelta: e tutto quello che contribuisce allo spettacolo – costumi compresi – deve essere finalizzato a quella stessa urgenza.

Quando immagina i costumi di uno spettacolo, quali sono i criteri di base cui fa riferimento?
Sicuramente devono parlare tutti “la stessa lingua”. Il primo lavoro in cui l’ho veramente capito è stato, anni fa, “Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello: gli interpreti avevano i costumi realizzati con la stessa stoffa, beige, nella quale erano state inserite componenti di finta pelle marrone, che aumentavano o diminuivano a seconda del grado di curiosità e impietosità del personaggio. Su questa stessa linea, di armonia e coerenza, ci siamo mossi con Giovanni Norbiato, all’epoca ventenne, per “Le Troiane”. Ciascuna di queste donne ha un proprio passato e tutte insieme stanno vivendo un’esperienza tragica; quando il pubblico le incontra, subiscono violenza già da settimane: i costumi raccontano il passato di ciascuna, la sua personalità e questa tragedia condivisa…

Interno Troiane Boschiero

Come organizza il lavoro con il costumista?
Prima leggo approfonditamente il testo, mi faccio un’idea personale e ho una “visione” di come vorrei che quella certa cosa risultasse alla fine. Questo vale per i costumi, ma anche per le scene, il disegno luci e gli altri elementi dell’allestimento. Restando al caso de “Le Troiane”, per esempio, nella scenografia volevo comparissero questi sacchi da cadaveri appesi, ma non avevo un’idea chiara della struttura. Abbiamo discusso a lungo con lo scenografo: io volevo dei pali tipo forca e che ognuna delle donne tenesse il proprio; ma lo scenografo mi ha messo di fronte ad una serie di problematiche fisiche, materiali e di  adattamento, proponendomi, alla fine, una soluzione unica che si autosostenesse e reggesse i sacchi di tutte e nove le donne. Con il costumista il percorso è stato uguale. Gli ho detto la mia idea, il fatto che non volevo una messinscena convenzionale, con i costumi tipici delle troiane e dei greci. Volevo comunicare un altro tipo di messaggio: gli ho spiegato il contesto complessivo e gli ho detto che per me ogni costume doveva appunto raccontare la storia della singola donna, mostrando al pubblico il profilo psicologico del singolo personaggio, ma facendo anche arrivare l’idea di un corpo unico. Insieme siamo arrivati, così, all’idea di inserire degli elementi di ferramenta nei costumi: Andromaca ha dei chiodi che la trafiggono; Cassandra ha delle catene, perché lei è l’unica che vede al di là della vita, che vede la schiavitù e la morte… E poi li abbiamo stracciati, quasi distrutti, proprio per mettere in evidenza le violenze subite da queste donne, strappate alla loro vita.
Ricordo ancora l’espressione del nostro costumista quando abbiamo cominciato a distruggere il suo bel lavoro: una lacrima gli è scappata…

Quanto conta il dialogo fra regista e costumista?
È molto importante, ed è veramente bello quando si crea, tra un regista che vuole arrivare ad ottenere l’idea che ha nella testa e una persona che lo capisce e – anche attraverso scontri e discussioni – la mette in pratica. D’altra parte, io non so concretamente realizzare un costume, non conosco le problematiche dei tessuti, gli aspetti tecnici dei materiali: ma so dove voglio arrivare e so quale messaggio voglio trasferire al pubblico.

Abbiamo parlato di aspetti tecnici, di problematiche: sono un limite o un’occasione?
I limiti sono occasioni per sviluppare idee e creatività. A volte si trovano soluzioni ancora più belle di quelle immaginate all’inizio e anche in questo il lavoro in equipe è fondamentale. Se voglio creare un “prodotto” in linea con le mie idee, devo appoggiarmi a persone che sanno fare il proprio mestiere, ma tutto parte dalla capacità di saper coinvolgere ed entusiasmare le persone, che allora mettono la propria passione a disposizione del progetto, arricchendolo: sempre nel caso de “Le Troiane”, per esempio, se fossi stato un regista che voleva comandare su tutto e tutti, lo spettacolo sarebbe uscito con i miei limiti. Invece ci sono state intesa e collaborazione, attenzione ai dettagli, sforzi per arrivare dove volevamo: per il trucco, per esempio, siamo andati fino a Roma, in un magazzino specializzato, a scegliere la giusta gradazione di sangue per il corpo e per Astianatte; per il parrucco abbiamo studiato come inserire i pezzi di ferramenta dei vari personaggi femminili. Ci è anche venuto il dubbio di fare fin troppo per piccole cose che magari, in teatro, non si notano: invece, abbiamo vinto così tanto con questo spettacolo che, alla fine, ci siamo dovuti ricredere...

Il costume condiziona l’attore?
Sì, senza dubbio. L’attore percepisce il fatto di trovarsi in un contesto solido, all’interno di una macchina che lavora per un obiettivo comune e sentito, di un progetto in cui tutti sono entusiasti e vogliono dare il massimo.