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PRIMO PIANO - OBIETTIVO REGIA

Domenica 15 ottobre, a Venezia, il congresso FITA Veneto avrà come tema centrale l'allestimento: in particolare, si discuterà sull'importanza di garantire armonia e coerenza ai vari elementi coinvolti, dalle scene ai costumi, dalla musica alle luci, fino allo stile recitativo. Ma cosa ne pensano i nostri registi? Ecco l'opinione di alcuni di loro.

Sulla figura e sul ruolo del regista, i teorici e gli accademici del teatro sono divisi. Per buona parte di essi, infatti, il teatro di oggi ha superato il concetto stesso di regia: vuoi per il cambiamento subìto dalla drammaturgia, che ha virato verso lavori sempre meno strutturati in senso tradizionale; vuoi per la tendenza progressivamente più diffusa ad un lavoro corale su e giù dal palco; vuoi, ancora, per lo sviluppo consistente di forme teatrali nelle quali l'attore o il performer assume un ruolo sempre più attivo e personale.
Il teatro amatoriale non è immune a questo tipo di evoluzione, aprendosi anch'esso – soprattutto tra i più giovani – ad un nuovo tipo di drammaturgia e a nuove esperienze performative. È pur vero, d'altra parte, che nel mondo del teatro amatoriale la figura del regista è ancora molto rilevante: sia che lo si voglia intendere alla maniera dei capocomici di un tempo (con incombenze più pratiche che "teoriche"), sia come vera e propria "mente creativa" dell'allestimento, artefice di un'originale visione del testo scelto per la messinscena.

Fatta dunque salva questa premessa, il regista ha tra i propri compiti quello di garantire all'allestimento la massima cura e coerenza in tutti i suoi aspetti: da quelli materiali, come le scene, i costumi o il trucco, a quelli immateriali, come lo stile recitativo. Può infatti capitare di assistere a spettacoli nei quali un'idea vincente "sulla carta" scivola sulla buccia di banana di un allestimento non all'altezza, poco curato o incoerente rispetto alla "visione" registica, che finisce con il non arrivare o arrivare in maniera incerta allo spettatore, primo referente e giudice ultimo di ogni messinscena.

Di tutto questo si parlerà domenica 15 ottobre a Venezia, al congresso regionale FITA Veneto, con la partecipazione di registi, critici e docenti. Proprio in vista di questo appuntamento abbiamo voluto anticipare una riflessione in materia con alcune compagnie e alcuni registi. La domanda che abbiamo rivolto a tutti è stata più o meno questa: «Tra i compiti di un regista c’è anche quello di dare coerenza ad ogni allestimento, concretizzando e caratterizzando la propria “visione” attraverso scene, costumi, trucco, musiche... Da solo o con la collaborazione di altri, lei come raggiunge questo obiettivo nei suoi lavori?»

Interno Trappola CarnovaleAlberto Bozzo, della compagnia La Trappola di Vicenza, illustra così il suo approccio alla regia: «Il mio primo obiettivo – spiega – è innamorarmi del copione e farne innamorare il gruppo. Inizio consultandomi con due o tre elementi fidati; poi, se il copione piace, lo propongo al cast con il quale desidero lavorare. Una prima lettura assieme mi aiuta ad accertarmi che i “compagni di viaggio” abbiano lo stesso mio entusiasmo, così da iniziare con il piede giusto. Parallelamente, considerando le caratteristiche degli attori e la mia sensibilità, cerco la soluzione registica ideale, inizio ad immaginarmi il lavoro finito e organizzo un brainstorming con scenografo, costumista e presidente del gruppo (che gestisce l’ingrato aspetto economico) per cercare di “armonizzare” il progetto. È fisiologico – continua Bozzo – che in questa fase alcune mie idee iniziali vengano sensibilmente modificate, ma mai snaturate, allo scopo di dare maggior omogeneità al lavoro. Nella vera e propria fase dell’allestimento non ho geniali soluzioni da rivelare, accetto suggerimenti da tutti e, nei limiti dell’idea registica, li metto in pratica. Lavoro cercando lentamente di indirizzare gli attori al prodotto finale che mi sono prefigurato, non sempre rivelando ciò che immagino: potrebbe spaventarli e disorientarli. Prego tutti di darmi fiducia e assicuro che in caso di successo il merito sarà di tutti; se invece sarà un fiasco, me ne assumerò ogni responsabilità». Una riflessione speciale, in conclusione, Bozzo dedica alla voce “musiche”: «Ritengo – spiega – che l’aspetto musicale sia inscindibile da quello vocale e per questo è sempre di mia esclusiva competenza. Voci e suoni devono fondersi: armonia-melodia-ritmo. Da sempre esigo le casse acustiche in quinta, affinché gli attori si sentano avvolgere dalle musiche e il pubblico percepisca che tutto giunge da un’unica fonte. A tale proposito mi capita spesso di dover cambiare in fase di prova (e non solo) molte intenzioni, allo scopo, per me fondamentale, di orchestrare (ecco il concetto di "armonia") corpi e voci come fossero una sinfonia, una composizione musicale in orizzontale e in verticale».

Interno TeatroCollettivo CocktailCircoGiorgio Libanore inizia la sua riflessione facendo notare il nome della sua compagnia, attiva a Rovigo: «Ci chiamiamo Proposta Teatro Collettivo non a caso, perché negli anni '70, quando abbiamo iniziato, si cercava di creare un sogno, forse un'utopia: unire persone che, in modo collettivistico e assembleare, potessero arrivare ad una "summa", ad una linea di intervento condivisa da tutti. Negli anni questa modalità di lavoro d'insieme si è perduta nella pratica, ma si è trasformata nella scelta di fare riferimento come regista a me. Così, dunque, partiamo da un testo che diventa ipotesi di lavoro, all'interno della quale cercare - questo sì assieme - una linea interpretativa condivisa: questo modo di procedere ci ha portato a fare scelte anche molto particolari, diverse dalla semplice lettura del testo di un autore; penso ad esempio a "Cocktail al circo" di Enzo Duse, dove abbiamo vestito tutti i personaggi da pagliacci. Il fatto di avere un'ipotesi di lavoro condivisa rende più facile l'azione successiva, dalla regia vera e propria alla comprensione psicologica dei personaggi... Il mio lavoro come regista è quello di mediare tra le caratteristiche recitative dei singoli attori e quell'ipotesi di lavoro, quella linea che ci siamo fissati come riferimento. Quello che faccio, in genere, è trovare delle sfumature, dei chiaroscuri in cui i personaggi si adattino al mio assunto, utilizzando i miei attori nel loro modo naturale di agire o portandoli ad essere l'opposto di ciò che naturalmente sono: ma tutto diventa più facile, perché ci muoviamo in un contesto condiviso da tutti, creando una sorta di auto-controllo».
Ma è sufficiente, gli chiediamo? O all'interno di un gruppo, per quanto ampio, non si finisce comunque per creare un microcosmo di regole, alfabeti, significati che poi, alla prova del pubblico, possono non arrivare o arrivare in maniera confusa? «Lo abbiamo tenuto presente. Abbiamo provato con varie formule, ma la cosa migliore per noi si è rivelata proporre lo spettacolo in un luogo neutrale, in cui non ci conoscevano; naturalmente, non sempre si ha l'occasione di farlo, ma quando possibile è molto utile».

Interno TeatroInsiemeSarzano MaddalenaDecisamente collettiva la gestione della regia in casa Teatro Insieme di Sarzano, sempre in provincia di Rovigo, come spiega Gaetano Tarda, tra i registi di riferimento della compagnia, insieme a Roberto Pinato: «Come gruppo - dichiara - da qualche allestimento a questa parte non abbiamo più una direzione artistica legata ad un singolo, ma demandata ad un direttivo di cinque persone. Tutte le fasi sono condivise, fin dalla scelta del testo, per la quale decidiamo una tipologia, per poi indirizzarci su certi autori e certe opere, fino ad arrivare a 4-5 lavori più nelle nostre corde, tra i quali operiamo la scelta definitiva. Fatto questo, decidiamo, sempre in gruppo, che tipo di allestimento realizzare, stabilendo, ad esempio, se vogliamo rispettare l'epoca prevista dall'autore o se vogliamo andare in una direzione diversa. A questo punto, vengono affidati incarichi precisi, anche in base a specifiche competenze: ma qualsiasi idea va comunque sottoposta al gruppo e deve essere condivisa, eventualmente con qualche aggiustamento, ragionando insieme anche sul suo armonizzarsi con il resto dell'allestimento. Certo, il lavoro condiviso è più lungo, almeno nelle prime fasi: ma quello successivo è più semplice». Guardando al passato, Teatro Insieme si dice convinto della bontà della scelta "collegiale": «Fino ad una decina di anni fa, avevamo una o due persone che facevano tutto e spesso il lavoro risultava non del tutto armonioso. Condividendo, cerchiamo di smussare i nostri limiti, anche di carattere tecnico». A questo lavoro di gruppo, Teatro Insieme affianca, da qualche tempo, anche l'intervento di un occhio esterno: «A volte – spiega Tarda – per quanto nel gruppo si cerchi di amalgamarsi, si finisce con il non avere la necessaria obiettività. In alcune occasioni, perciò, ci siamo rivolti ad un critico, ed è stato molto utile».

Interno Oberon treviteinaffittoPer la compagnia Oberon Architettura di una Primavera di Montebelluna, in provincia di Treviso, parla Lorenzo Zamboni, attore: «Per le scelte registiche – spiega – dipende di volta in volta dal materiale che si ha a disposizione. Determinata l'opera su cui lavorare, ci si fa un'idea dei personaggi insieme alle persone coinvolte in quell'allestimento. Tendenzialmente bisogna calibrare tutto con le proprie forze e trovare le soluzioni più economiche e di impatto più diretto. Come gruppo, comunque, mettiamo al centro l'interpretazione: il dettaglio del costume diventa sì importante, ma è una cosa che puoi aggiustare; se uno riesce ad aiutare l'attore a dare un'interpretazione credibile, qualsiasi costume diventa più adatto. Tra l'altro, per il tipo di opere comiche che proponiamo, non abbiamo grosse esigenze "storiche". Prendiamo ad esempio "Amleto avvisato mezzo salvato", che abbiamo proposto con la regia di Marco Canuto, il nostro regista di riferimento: per i costumi, ci siamo documentati su libri dedicati all'epoca ma tenendo presente la necessaria comodità dei movimenti e per certe cose, come le canzature, abbiamo fatto il meglio possibile, cammuffando scarponi ed espadrillas». Ben più importante, l'interpretazione: «Il pericolo di un'opera come il nostro "Amleto" era che poteva diventare ridicola: bastava cadere nella battuta sguaiata, nella risata troppo facile; invece, abbiamo puntato su personaggi che sono sinceri, divertenti e tristi insieme, che non cadono nell'esaltazione della gag, uno dei pericoli maggiori: se ci butti sopra la glassa, l'effetto cattura per un attimo ma poi va via, mentre la comicità deve essere una cosa che ti resta. Diversa, invece, la linea interpretativa scelta per un altro nostro lavoro, "Il mistero dell'assassino misterioso", di Lillo e Greg, spettacolo dedicato ad un pubblico differente, che le rare volte che va a teatro ci va per ridere: là abbiamo condito bene il tutto, giocando su una comicità più facile e diretta».

Interno CdVillaggio AladinoLuca Lovato, regista della vicentina Compagnia del Villaggio, paragona l'allestimento di uno spettacolo ad un piatto "sofisticato e unico": «Scelta degli ingredienti – spiega –, dosi, lavorazione, cottura e presentazione: tutto deve andare in una direzione ben precisa per coinvolgere i sensi. Il mio lavoro di regista inizia prima con un approfondimento personale, che mi offra elementi capaci di stimolare la fantasia e mi faccia conoscere origini, luoghi e storia di quello che ho davanti. Una volta che l’immaginazione si è mossa, si parte, raccontando alla squadra la mia storia, il mio modo di vedere l'opera: e l'allestimento è già iniziato nel momento in cui mi ritrovo a "narrarlo" in un certo modo al team creativo. È da qui che si comincia a tessere la tela». Il confronto con il gruppo è dunque un momento centrale dell'iter: «Cerco di illustrare al meglio tutti i perché della mia visione e chiedo a tutti di lavorare con me, contribuendo al risultato ciascuno secondo le proprie competenze, ma lasciandosi trasportare e contaminare». Dall'idea alla realizzazione, il gioco di squadra si conferma essenziale: «Insieme – continua Lovato – concretizziamo quello che era solo fantasia, calandolo nella realtà, per valorizzare e amplificare il tutto. Nulla va tralasciato e l'abilità sta nell'usare con cura ogni linguaggio, per rispettare quella curva che porta il pubblico a respirare insieme alla storia. Ambire a ricreare le vibrazioni che emotivamente e narrativamente la mia storia porta con sé è un lavoro di delicati equilibri, che la regia deve raggiungere attraverso tutti i colori che possiede: scenografie, trucco, parrucco, costumi, luci, audio, effetti e soprattutto gli artisti. Concretamente, una volta chiaro il progetto, comincio a rapportarmi con ogni creativo, cercando di raggiungere la necessaria coerenza dell'insieme, condividendo e facendomi condizionare, ma senza perdere il filo. La musica nel nostro caso è un elemento importantissimo, legato al soggetto, e condiziona il copione, colora i personaggi, svela i costumi, mi suggerisce le scenografie, le coreografie, il trucco e parrucco, accende le luci: mi aiuta a raccontare senza parlare. Come si raggiunge l'obiettivo? Con la squadra. Insieme a loro cerco la strada per realizzare quella "mia" visione, che diventerà la "nostra"».

Interno GadSimoni TartuffoMaurizio Ravazzin, del G.A.D. Renato Simoni di Verona, riserva una particolare cura, nel suo lavoro registico, alla scelta del testo: «Per me – spiega – è una fase impegnativa e lunga, che può richiedermi anche più di un anno: penso ad uno spettacolo, mi faccio un'idea, poi l'accantono (mai innamorarsi delle proprie idee!), la riprendo qualche mese dopo, così da vedere se ha ancora qualcosa da dirmi o se è meglio rinunciarvi. Quando finalmente scelgo il lavoro da mettere in scena, ne parlo con Mariella Placchi, un'attrice esperta della nostra compagnia, del cui giudizio mi fido molto, sia in merito al testo e all'adattamento, sia sull'impostazione registica di base. Per la regia vera e propria, poi, da qualche tempo mi avvalgo della collaborazione di un'altra componente della compagnia, Cecilia Comencini, una giovane molto attenta e acuta, che ho nominato "sul campo" aiuto-regista. Apporti davvero competenti sono sempre fondamentali, come nel caso delle musiche, che noi usiamo spesso: in questo ci aiuta un soprano, Elena Bertuzzi, oggi cantante professionista, ma in passato attiva con noi; è molto preparata e rigorosa, e mi aiuta ad assicurare coerenza a questo aspetto, oltre ad essere insegnante di canto per tutti noi». Tutto deve essere al posto giusto: «Dagli elementi materiali – commenta – come scene o costumi (che anche solo suggeriscano un'epoca o un'atmosfera; ma attenzione a non scegliere il "minimale" perché non si hanno soldi: se si fa, va fatto bene), a quelli immateriali, come l'interpretazione o il ritmo: e in questo campo, con trent'anni di esperienza nella rivista, lo ritengo mio appannaggio... Per il resto, prima di affrontare qualsiasi testo, seguiamo corsi propedeutici per esempio su postura, musica, canto (anche quando non si canta, perché recitare è musicalità). Da regista, credo che partire con ingredienti buoni sia essenziale; poi è importante ricondurre il tutto ad un filone unico, soprattutto nel rapporto con gli attori: io consiglio e cerco di amalgamare l'insieme, mentre mi rifiuto di imporre "devi fare così, così e così", atteggiamento che ritengo umiliante per un attore».

Interno PtChioggia BaruffeAttore al centro di tutto per la storica compagnia Piccolo Teatro Città di Chioggia: «Il nostro regista di riferimento - spiega Paolo Penzo, attore del gruppo celebre soprattutto per le goldoniane "Baruffe chiozzotte" – è Pierluca Donin. Nella preparazione di uno spettacolo, però, ognuno espone le proprie idee e su questa linea si cerca di cambiare qualcosa dall'originale, puntando anche ad accontentare i giovani, perché Goldoni è Goldoni, e i ragazzi sono un po' più restii ad allestire commedie vecchio stampo: nel complesso, insomma, non puntiamo solo sull'esperienza di un regista, ma consideriamo anche il parere del gruppo». Perché l'insieme funzioni, «cerchiamo di tenere ben presente il filo conduttore – spiega Penzo –. Come un fiume, che ha un percorso principale e varie ramificazioni, così in uno spettacolo l'idea portante è quella, e se ci sono varianti le elaboriamo per fonderle al nucleo centrale della commedia, con una sorta di "regia allargata" che coinvolge un po' tutti, attori esperti e giovani. Anche questo è un modo per coinvolgere le nuove leve, portandole a sentirsi parte integrante della compagnia e non solo sul palco: per me "teatro amatoriale" non è solo l'attore che arriva, recita e se ne va; è tutto il mondo che gli si muove attorno, compreso il montaggio e lo smontaggio delle scene e le tante altre incombenze, tutte importanti: per viverlo davvero, bisogna viverlo così». Come essere certi che tutti gli elementi di uno spettacolo siano in armonia? «Personalmente – continua Penzo – uno spettacolo funziona in tutte le sue parti se non mi annoio guardandolo, se non mi rende impaziente: deve avere ritmo, non essere volgare, essere divertente e con il giusto filo di ironia. In tutto questo, credo che costumi e scene siano marginali: sta all'attore creare il personaggio, la sua epoca e il suo ambiente, indipendentemente da come è vestito. Deve esserci lui: se il resto non c'è, pazienza».

Interno TeatroLune maritomiofiglioQual è, infine, l'approccio alla regia della compagnia Teatro delle Lune di Montebelluna, in provincia di Treviso? «Per la messainscena del lavoro – spiega Roberto Conte – regia e coordinamento fanno capo a me: un processo naturale, visto che di solito sono io a proporre i testi da allestire, perché quando li leggo mi ispirano e ci lavoro da subito. Sul fronte della realizzazione pratica, per le scene – che ritengo un elemento fondamentale – propongo testo e idee ad uno scenografo: ultimamente abbiamo lavorato con persone diverse, e la cosa è stimolante, perché ognuno ha la sua esperienza e questo può rivelarsi determinante perfino per portarti a deviare dalle cose che avevi in mente. Per quanto riguarda i costumi, invece, chiedo la collaborzione soprattutto delle attrici della compagnia (mi fido della loro sensibilità e della capacità di ricerca). Il discorso cambia per le musiche: avevo provato ad affidarmi ad altri, ma mi piace molto occuparmene personalmente e... dicono che ci so fare. Avevo anche provato a delegare, ma mi rendo conto che la musica è una cosa che devo seguire io, perché deve essere proprio coerente con l'idea che voglio creare, o assecondandola o, al contrario, facendo da contrappunto; trovo che sia difficile colpire nel segno per uno che non sia il regista, a meno che non si lavori da subito su musiche originali, come è capitato un paio d'anni fa con alcuni musicisti che si esibivano anche sulla scena: la ricerca l'hanno fatta loro, ma si è creato un buon amalgama grazie a prove e suggerimenti». Ma il pubblico percepisce l'armonia e la coerenza tra gli elementi di un allestimento? Conte è scettico: «Credo che lo spettatore medio giudichi bello o meno uno spettacolo, ma non che lo analizzi a questo livello. Come invece fa chi è del mestiere o un critico».

Interno bottegaconcordia«Nell'affrontare qualsiasi testo - commenta Filippo Facca, regista del Gruppo Teatro La Bottega di Concordia Sagittaria, in provincia di Venezia - mi sono sempre posto in posizione di “ascolto” di quanto l'autore vuole trasmettere, cercando un sottotesto, valorizzando soprattutto le sfumature. Sono convinto che la coerenza ne risulti quasi conseguente, nel rispetto dell'idea di chi ha scritto l'opera. Ecco: “rispetto”, penso che sia la parola magica, la chiave di volta. Sono piuttosto rigido in questo senso: accenni contemporanei in testi classici li trovo fuori luogo, se non studiati con estrema cura e intelligenza; fatico a digerire un De Filippo recitato da non napoletani o tessuti moderni in Lisistrata; un attore che interpreti un personaggio femminile (o viceversa) deve essere molto bravo; preferisco un italiano non perfetto ad un dialetto poco credibile. Apprezzo la sperimentazione, l'innovazione, ma sempre nel rispetto dell'idea originale. Non servono grandi strumenti per ottenere coerenza nell'allestimento, credo sia sufficiente muoversi nel rispetto cronologico, tematico e concettuale del testo di partenza. Per i registi amatoriali spesso è già un bell'impegno correggere “quello che non funziona” nella resa di un lavoro; il “passo in più” è, a mio avviso, privilegio dei pochi fortunati che possono contare su attori decisamente dotati, staff tecnici efficaci e una bella fantasia personale. Mi piace ascoltare il parere dei miei compagni di lavoro, cerco di confrontarmi su scelte stilistiche e tengo in considerazione ogni buona idea. Ma poiché la firma sotto il quadro è la mia - conclude - le decisioni finali spettano comunque al regista, che assume oneri e onori».