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Giovani

Anna Basso:
Ecco il mio Itaf

Studentessa di Filosofia e Scienze Umane all’Università di Venezia e componente de La Ringhiera di Vicenza, Anna Basso, 21 anni, è stata tra gli otto partecipanti all’edizione 2018 di Itaf (International Theatre Academy of Fita).
Intenso come sempre il programma formativo del percorso di alta formazione promosso dalla Federazione Italiana Teatro Amatori (Fita), con la direzione artistica di Daniele Franci, che ha portato Anna e i suoi compagni d’avventura a vivere alcune settimane di lavoro artistico in Italia – nella sede dell’Itaf a Reggio Emilia – e all’estero: prima in Belgio, al festival internazionale “Les Estivades” di Marche-en-Famenne, dal 3 al 10 agosto (con la partecipazione di altri quattro giovani Fita, tra i quali il bassanese Fabio Dalla Zuanna), e successivamente in Olanda, a Utrecht, dove gli “itafiani” hanno collaborato con giovani del Creative College. Forte e coinvolgente la tematica attorno alla quale si è sviluppato Itaf 2018: una riflessione a quarant’anni dall’approvazione della Legge Basaglia, sfociata nella creazione dello spettacolo “180 La legge dei matti”.
Con Anna Basso abbiamo riavvolto il nastro di questi mesi così speciali, tra ricordi, emozioni e progetti.

Allora, Anna: ne è valsa la pena?
Assolutamente sì, e non solo dal punto di vista teatrale. Mi ha coinvolta da subito e molta parte del merito, in questo, va a Daniele Franci, bravo con gli attori ma anche con le persone in sé.

Che cosa ti ha trasmesso questo percorso?
Tanti insegnamenti di vita in generale. Mi ha portato a mostrarmi, a trovare una nuova sincerità nel dialogo, non solo teatrale ma di tutti i giorni, per togliere le barriere con gli altri, con le persone che non conosci e verso te stesso.

Le esperienze all’estero sono state gratificanti?
Sono state molto belle. Abbiamo conosciuto persone che facevano teatro in maniera diversa: con alcuni è stato immediato, con altri è stato più complesso, ma abbiamo imparato qualcosa da tutti. In Olanda, in particolare, nel progetto sono stati inseriti ragazzi delle scuole superiori, e questo ci ha portato ad un po’ anche noi “formatori” di questi ragazzi, cercando di spiegare loro quali emozioni dovevano essere trasmesse.

Com’è andato l’inserimento nel gruppo: è stato difficile all’inizio?
In realtà io faccio un percorso inverso: quando incontro persone nuove sono espansiva, potrei raccontare la mia vita subito a chiunque; la difficoltà, per me, è mantenere questo spirito nel tempo. Avere a che fare con persone che non conosci è difficile, ma in questo percorso, con questo bel gruppo, si è creato da subito un clima che ha fatto sentire come le differenze potessero essere superate. Ho visto di avere molte cose su cui lavorare, per crescere e migliorarmi sia sul palco che come persona. Direi che, in questo senso, ho fatto un lavoro di costanza, per cercare un equilibrio.

Molto impegnativo è stato anche il tema su cui avete lavorato. Come l’avete affrontato?
Siamo stati catapultati in una realtà, quella dei manicomi, di cui eravamo quasi tutti ignari. Non sapevamo nemmeno bene che cosa dicesse la Legge Basaglia. È stato intenso per tutti, ma siamo riusciti a immedesimarci: dovevamo recitare lettere di persone vere, quindi occorreva mantenere il rispetto per queste esperienze vissute; e poi ogni nostro personaggio veniva da una nostra oscurità più profonda, ci ha portato a tirare fuori le nostre difficoltà, i nostri lati cronici, diversi.

Quindi vi siete trovati a mettervi in gioco profondamente, a livello personale...
Per me è stato stimolante anche considerando il percorso di studio in cui sono impegnata. Ho fatto ricerche anche a livello personale e familiare, che mi hanno portato a scoprire cose che non sapevo. Sì, è stata un’esperienza molto forte, di cui abbiamo sentito l’emozione fin dalla prima volta davanti al pubblico: a Reggio Emilia, all’anteprima; un momento bello, perché coinvolgente per noi e per gli spettatori. Un’esperienza che poi abbiamo vissuto anche in Belgio, dove l’emozione è stata altrettanto forte, in Olanda e infine a Trento, dove l’emozione è stata altissima, anche perché c’era chi aveva conosciuto Basaglia e il suo lavoro.

Com’è stato il rapporto con i formatori durante la preparazione di questo spettacolo?
Basato sulla fiducia reciproca: non si può lavorare su cose così personali quando non c'è questa fiducia. Ovviamente ognuno avrà vissuto questo rapporto in modo diverso. Il mio è stato un po' contrastante, mi ha messo alla prova profondamente: quando lavoro in queste cose io sono sempre insoddisfatta, cerco di fare meglio di più, non riesco a esprimere i miei dubbi e non capisco se quello che faccio se va bene o no... Anche in questo caso, ho cercato di trovare un equilibrio tra i miei dubbi e quello che dovevo fare, quello che mi veniva chiesto. Tra l’altro, per lo spettacolo ho dovuto su un personaggio straziante. Non è stato facile, ma ho iniziato a capire che è bello potersi affidare alle persone.

Che cosa porti questa esperienza nel lavoro con la tua compagnia?
Non è stato immediato e facile il ritorno ad altri schemi, ma di certo ho imparato a lavorare di più con me stessa su parti che mi mettono in difficoltà. Ma, concludendo, vorrei precisare una cosa importante…

Vale a dire?
Che abbiamo parlato di impegno, difficoltà, crisi… ma Itaf è anche molto divertente: è un percorso bellissimo, pieno di risate, che ci ha permesso di conoscerci tutti da tanti punti vista, uno scambio stupendo sia teatrale che personale. Lo consiglio assolutamente.