Fita Logo trasp  fita logo 70
regione veneto  facebook googleplus instagram youtube

Strumenti

La voce e l'attore:
parola all'esperto

di Filippo Bordignon

La voce è un alleato indispensabile per qualsiasi attore. L'importante però è farne buon uso: occorre capirla, “trovarla”, guidarla e prendersene cura al meglio. Abbiamo chiesto a Gianfranco Ara, formatore esperto in materia, di rivelarci alcuni dei suoi segreti e darci preziosi consigli.

La voce, nonostante sia l’unico “strumento musicale” che l’uomo porta costantemente con sé, è anche il più misterioso e difficile da padroneggiare con cognizione di causa. La questione non riguarda ovviamente solo gli attori dediti a spettacoli musicali ma la categoria in toto, in virtù di esigenze che portano ogni soggetto a dover adoperare la propria voce in maniera continuativa, per periodi prolungati e secondo modalità che la rendano udibile fino all’ultima fila.

Per meglio comprendere la complessità del tema abbiamo interrogato Gianfranco Ara. Ara muove i primi passi sul palcoscenico nel 1973, dapprima come cantante e chitarrista, poi come attore e regista. Con varie compagnie venete ha partecipato all’allestimento di innumerevoli messinscene: dalle sacre rappresentazioni al teatro comico, dalla commedia dell’arte a Pirandello, dal teatro classico fino al teatro contemporaneo e al cabaret. Unitamente alla sua pluripremiata carriera sul palcoscenico, è stato insegnante di Tecnica del Gesto e della Parola alla Scuola per Direttori Artistici e Direttori di Animazione di Bologna dall’82 all’87. In quel periodo si diploma in Dizione e Fonetica presso la Scuola Regionale di Teatro di Padova. Da anni collabora con molte associazioni e scuole delle province di Padova, Vicenza, Rovigo e Treviso tenendo corsi e seminari sulla dizione e l’uso della voce.

Interno2 Ara come Cyrano 2001 PH FBiganzioli“Sono tantissime le persone con le quali ho lavorato per migliorarne la voce o la dizione - evidenzia Ara -. La maggior parte di esse non è necessariamente addentro al mondo del teatro ma vuole comunque risolvere problematiche legate a un uso scorretto del mezzo. Si tratta spesso di insegnanti, conferenzieri o comunque persone che, per il proprio lavoro, sono costrette a parlare per buona parte della giornata. Il primo fatto da rilevare è che l’allievo, normalmente, è all’oscuro di tutto ciò che riguarda questo delicato e complesso argomento e non sa nemmeno che esiste una voce naturale (che non può essere sollecitata oltre un certo limite) e una impostata. L’impiego erroneo può causare, nel corso degli anni, la formazione di noduli alle corde vocali, un inciampo di cui soffrono anche molti insegnanti di canto”.

Qual è dunque la prima e più importante regola? Ara non ha dubbi: “Conoscere l’organo fonatorio. Sapere come si emettono i suoni. Abbiamo in noi uno strumento prezioso che va impiegato correttamente e che necessita di più apparati per funzionare a pieno regime. Prima di tutto c’è bisogno della motrice e cioè il respiro. Poi entra in campo il ‘congegno vibrante’ nascosto nella laringe, cioè le corde vocali. L’allievo deve imparare il loro funzionamento, capire qual è la propria insostituibile tonalità. E infine c’è tutto il meccanismo articolatorio composto di vari elementi quali le labbra, la lingua, l’ugola e quel che interviene a creare diversi tipi di suoni. L’allenamento diviene così fondamentale. In primis bisogna imparare a respirare, passando dalla modalità naturale a quella diaframmatica mediante alcune tecniche”.

Purtroppo imparare a padroneggiare la contrazione diaframmatica per togliere tensione alle corde vocali non è così semplice. “Il diaframma ha una componente volontaria ma anche una involontaria - spiega Ara - che tutti possiamo sperimentare con il singhiozzo. Esistono però delle tecniche che permettono di contrarre il diaframma abbassandolo a piacere. Non ci sono scorciatoie: l’allievo deve prima di tutto comprendere anatomicamente e fisiologicamente l’atto della respirazione. Dunque, con 4-5 lezioni, si impara a emettere suoni controllati e di lì i cambi di volume, di energia, di tono, di velocità. Una volta che si padroneggia la tecnica bisogna ricordare che la voce va preservata. L’inspirazione, per dirne una, deve essere sempre nasale. In questo modo l’aria che passa attraverso i due condotti arriverà agli organi fonatori lievemente riscaldata. Il freddo, infatti, diminuisce le difese immunitarie. Se ci si pensa, i presupposti per buscarsi un raffreddore sono due: il fattore patogeno e un soggetto dalle difese immunitarie deboli. Il ruolo del naso è anche quello di umidificare l’aria evitando la tipica sensazione di secchezza in gola che avvertiamo in ambienti climatizzati. Inoltre, prima di ogni esibizione, tutto l’apparato articolatorio deve essere riscaldato mediante esercizi. Ultima considerazione: quando si parla o si canta con voce impostata si producono veri e propri colpi allo stomaco; sarà quindi opportuno evitare cene abbondanti prima dell’esibizione perché, nei casi peggiori, si può verificare addirittura un blocco della digestione”.

E infine c’è la questione della dizione. Una prima e implacabile autoanalisi è possibile utilizzando un semplice registratore, strumento ormai presente in ogni telefono cellulare. Ciò che crediamo di udire ascoltandoci parlare è ben diverso da quel che sentono gli altri, questo perché le vibrazioni che si ripercuotono sulle ossa della teca cranica amplificano e migliorano la percezione della voce. Inutile dare la colpa al registratore: questi ci restituisce tutti i nostri vezzi o la cadenza dialettale che spesso non sopportiamo negli altri. “In Italia tutti crediamo di saper parlare un italiano perfetto ma non è così - conclude l’attore - Nelle scuole si insegna a scrivere e leggere ma non ci dicono che la punteggiatura grammaticale e quella fonetica sono due cose ben diverse. Ci hanno sempre insegnato che l’italiano è una lingua relativamente facile perché si parla come si scrive. Durante le mie lezioni analizzo una serie di incongruenze che dimostrano l’esatto contrario. Quello che parliamo ancor oggi è il fiorentino classico depurato dei suoi vezzi. Quanto alla cadenza ‘regionale’ il mio punto di vista è che si tratti di ricchezze spesso irrinunciabili. Quella che percepiamo come una sorta di cantilena rappresenta invece la musicalità della nostra lingua, una musicalità che in alcune situazioni teatrali rappresenta parte imprescindibile del soggetto. Basti pensare a un fatto: quando raccontiamo una barzelletta, affinché il meccanismo comico funzioni alla perfezione la battuta finale viene sempre pronunciata attraverso la cadenza regionale di chi la racconta”.